Corri Robi, c’è Van Basten!
Tempo di lettura: 4 minuti
Il 14 novembre 2016, da Mimmo si realizzò un sogno che dimorava nella mia mente da quando ero bambino – la visita inaspettata di un fuoriclasse del Milan – ma io ero da tutt’altra parte.
Non è quella principale, sia chiaro, ma una delle ragioni che mi hanno spinto a seguire le orme di papà è l’opportunità, tra una comanda e un’accoglienza, di incontrare grandi artisti e personaggi famosi. Vederli da vicino, conoscerli, senza l’assillo di rubare un selfie da esibire agli amici come trofeo.
Ed è stato così, perché ho avuto la fortuna di scambiare più di due parole con Luis Sepulveda e Gualtiero Marchesi, Dick Fosbury e la splendida Liv Ullmann, solo per citarne alcuni.
In quella fredda e caliginosa sera di metà novembre, però, un destino incline alle burle e agli sberleffi aveva architettato nei miei confronti un tiro mancino di rara perfidia.
Ignaro di ciò che stava per accadere, risoluto e concentrato come non mai, mi ero già calato nel ruolo di consigliere comunale in un centro civico della Malpensata, quartiere di Bergamo molto attivo e vivace. In quella riunione erano molti gli argomenti all’ordine del giorno: la riqualificazione del parco, la nuova rotatoria, il parcheggio all’ex gasometro.
Il dibattito era appena iniziato quando un impercettibile ronzio mi avvisò dell’arrivo di un sms da parte di Massimo, mio fratello. Buttai l’occhio senza troppa attenzione e lessi: “C’è Van Basten da Mimmo!”. Il mio cuore saltò un battito, forse due.
L’impegno politico è una cosa seria, ma nondimeno lo è il calcio, almeno per me. Così mi alzai dalla sedia per avvicinarmi al coordinatore del nostro gruppo: dovevo assentarmi per motivi familiari, serissimi e improrogabili.
Non feci a tempo a raggiungerlo che la discussione si accese improvvisamente, come un’esplosione. Chi sosteneva a gran voce che il parco andava allargato subito, chi misurava sulla carta il diametro della rotonda. Più d’uno mi chiese un parere.
Mi rimisi a sedere. In un attimo era svanito il coraggio di mettere in atto quella piccola menzogna il cui fine, a mio parere nobilissimo, era quello di stringere la mano a una divinità che aveva indossato la maglia rossonera.
In quegli anni felici del Milan di Sacchi e di Capello, per me era naturale prendere sonno rievocando un gol di Marco Van Basten. La meravigliosa torsione che gli permise di colpire di testa il pallone e siglare l’1 a 1 a Madrid. Quel suo pallonetto, più simile a una pennellata del Caravaggio che a un calcio a un pallone, in uno spettacolare Pescara-Milan 4 a 5 o la sassata dal limite dell’area in un altrettanto pirotecnico Fiorentina-Milan 3 a 7. O il mio preferito, quella rovesciata plastica e sublime nel 4 a 0 al Göteborg, in cui il campione olandese mise a segno tutte e quattro le reti.
Invece restai lì, in quella stanza disadorna del centro civico della Malpensata, ormai estraniato dai discorsi che infiammavano la contesa. Terminata la riunione, e salutati velocemente i partecipanti, salii in macchina e in dieci minuti fui da Mimmo, ma ormai Van Basten non c’era più.
Sottrassi mio fratello alle sue incombenze e di quell’avvenimento straordinario reclamai da lui ogni dettaglio, anche il più insipido. Massimo mi raccontò di essere uscito per un attimo dal ristorante trovandosi di fronte, avvolto nella nebbia, il cigno di Utrecht. In un italiano stentato ma comprensibile, gli chiese: “Scusa sai dov’è Ristorante Mimmo?”.
Mi riferì di essere rimasto a bocca aperta e di avergli indicato l’entrata, che era a pochi metri, con la mano sinistra mentre con l’altra aveva già preso il telefonino dalla tasca per digitare il messaggio che mi aveva inviato.
Volli sapere cosa aveva mangiato e il vino che aveva bevuto, come era vestito, se era davvero così alto, da chi era accompagnato, ma ero affranto e inconsolabile. Massimo sorrideva con una punta di imbarazzo, in fondo lui non è un vero tifoso. Anche oggi si ritiene un tiepido milanista e le partite, in tv o allo stadio, non le guarda mai.
Rilassato e di ottimo umore, quella sera Van Basten fu gentile e disponibile con tutti. Clienti, cuochi e camerieri, juventini e interisti compresi, si misero in fila per una foto ricordo da conservare gelosamente. Mancavo solo io.
Con un groppo in gola fantasticai su cosa avrebbe potuto raccontarmi. Magari di quella volta in cui, prima di un decisivo Milan Empoli di campionato, per tranquillizzare un Carlo Ancelotti particolarmente teso gli disse: “Tu passami la palla e poi corri ad abbracciarmi”. Finì 1 a 0 con un gran destro di Van Basten servito da Ancelotti.
In quei giorni mio padre si trovava in ospedale, ricoverato per quella malattia che col tempo se lo portò via. La mattina dopo andai a trovarlo e gli raccontai tutto, gli portai l’autografo di Marco Van Basten e parlammo a lungo del nostro amato Milan. Gli esternai il mio infinito rammarico per quell’incontro mancato con uno dei miei idoli. Lui, con la sua solita pacata ironia mi disse: “Ragazzo mio, sono i costi della politica”.