Un vecchio posacenere

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Lo sappiamo bene, la vita non è fatta solo di amori travolgenti, amicizie indissolubili o incontri che determinano svolte epocali. Ci sono anche incroci che hanno la durata di un attimo, apparentemente marginali, capaci di lasciare tracce profonde nella nostra esistenza.

È ciò che avvenne in quel pomeriggio afoso di piena estate di qualche anno fa.

Mio padre era mancato da pochi giorni ed io, con la mente affollata da mille pensieri, camminavo a passo svelto lungo la Corsarola, quando mi fermò una donna. Immerso com’ero nelle mie riflessioni non la riconobbi subito. Era Anna, la figlia del vecchio fotografo di Città Alta, amico di papà. Divennero amici grazie alla lunga frequentazione e a una condizione che li accomunava: i tanti figli da crescere. Sette mio padre e otto il padre di Anna.

Giusto il tempo di salutarsi e Anna, con un poco di impaccio, tolse dalla borsa un vecchio posacenere di ceramica. La sorpresa fu grande, non pensavo ve ne fossero ancora. A mio padre piaceva pensare a piccoli gadget da regalare ai clienti più affezionati e quell’oggetto che mi ritrovai tra le mani era uno di questi.

Lo aveva realizzato uno dei tanti artigiani che un tempo popolavano Città Alta, in un’epoca in cui la Bergamo adagiata tra le Mura era un susseguirsi di laboratori e botteghe. Si chiamava Donato ed era un ceramista, veniva dal cuore dalla Basilicata e si era trasferito a Bergamo nel dopoguerra.

La donna insistette perché tenessi io il posacenere. Mio padre lo aveva regalato molti anni prima al suo e ora, secondo lei, doveva ritornare “a casa”. La spontaneità di quel gesto mi commosse e dopo averla ringraziata mi diressi verso casa. Avevo recuperato un prezioso reperto archeologico, un ricordo di famiglia di cui avevo dimenticato l’esistenza.

Ero davvero felice e una volta entrato in casa lanciai il posacenere sul letto certo che sarebbe affondato tra le lenzuola. Per qualche mistero della fisica, invece, rimbalzò e prese il volo, atterrando con fragore sul pavimento in graniglia dopo una piroetta degna di una prima ballerina della Scala.

Non feci in tempo a pentirmi di quel gesto insensato che mi accorsi con grande stupore che il posacenere era rimasto intatto. Un autentico miracolo. Avrebbe dovuto andare in mille pezzi ma non si era nemmeno scheggiato. Il suo destino era quello di restare integro, per divenire un ricordo da conservare gelosamente, per rammentarmi chi era papà, le sue intuizioni e i rapporti sinceri che creava con le persone. E poi, come ha scritto Valerio Magrelli, “io non credo agli spiriti della casa ma ai posacenere sì”.

Raccogliendo da terra l’inestimabile reperto mi apparve un ricordo sopito da chissà quanto tempo. Che fossero le chiavi di casa o uno strofinaccio, mio padre usava lanciare gli oggetti accompagnando il gesto con un “Toh”. In quella parola c’era tutta la soddisfazione per avercela fatta, non solo per aver mandato a buon fine il suo lancio ma per aver reso realtà la maggior parte dei suoi sogni. E quel “Toh”, senza rendermene conto, lo avevo appena pronunciato io nel gettare il posacenere sul letto.

Mi concessi un sorriso pensando a lui, sbadato e un po’ maldestro come il sottoscritto, che preso dalla fretta appoggio di tutto in bilico sulle mensole o sul bordo dei tavoli. Sono davvero come papà. Del resto, si dice che il frutto non cade mai lontano dalla pianta.

Robi