Il più bel litigio che abbia mai visto

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C’era un tempo, quando i dischi a 78 giri iniziarono a sparire e nessuno si immaginava che un giorno la tv sarebbe diventata a colori, in cui i camerieri indossavano giacca bianca e papillon, rigorosamente nero. Quella divisa, che donava pure una certa eleganza, rappresentava un modo di essere. Sempre affabili e col sorriso, formali quanto basta, i camerieri in giacca bianca e farfallino erano fieri di svolgere la propria mansione.

Il Genio era uno di questi. Lavorava al ristorante Da Mimmo sin dalla sua inaugurazione e teneva moltissimo alla sua giacca, la faceva stirare tutti i giorni alla moglie e controllava con cura che i bottoni fossero ben fissati.

Eugenio, per tutti il Genio, era cameriere per vocazione. Parlava solo in bergamasco e teneva a mente tutto quello che i clienti ordinavano, anche quando si trattava di tavolate sterminate, senza dover ricorrere a penna e bloc notes. Aveva sempre la battuta pronta, tanto che i clienti lo avevano soprannominato Carlo Dapporto, attore di rivista e cabaret famosissimo all’epoca anche per la pubblicità di un dentifricio.

Il Genio doveva confrontarsi quotidianamente con il suo principale, nostro padre, che invece era un uomo proiettato al domani, attento ai cambiamenti di una società che stava evolvendo rapidamente. Il suo modo di lavorare a papà non piaceva, voleva che i camerieri parlassero sempre in italiano e che scrivessero le comande su un taccuino. Ma il Genio era un anarchico, per di più refrattario alla modernità, e le richieste di nostro padre cadevano puntualmente nel vuoto.

Lo scontro era nell’aria, ce lo aspettavamo da un momento all’altro, e giunse all’improvviso. All’ennesima richiesta di correggere il suo atteggiamento, il Genio si esibì in una singolare quanto plateale forma di protesta. Guardò papà dritto negli occhi e con grande aplomb gli disse: “Senta, facciamo così, io mi spoglio la giacca e la lancio verso il soffitto, se resta su resto anche io, se cade a terra me ne vado all’istante”. Mimmo scosse la testa osservando la divisa planare ai suoi piedi. Il Genio raccolse con calma la sua giacca bianca e se ne andò senza dire una parola.

Io e i miei fratelli eravamo increduli, gli eravamo affezionati e ci sembrava impossibile che il Genio se ne fosse andato. In quel modo, poi.

Seguirono giorni avvolti nel silenzio. Solo apparente, in realtà, perché le rispettive mogli avviarono una vera e propria trattativa diplomatica per riconciliare i mariti. Si incontravano sul sagrato della chiesa, lontane da occhi indiscreti, per cercare di risolvere quella situazione.

Ancora oggi, ricordo mia madre Lina dire a mio padre: “Sei stato troppo severo, lo sai com’è fatto il Genio”. Aggiungendo poi un vera perla di saggezza: “Avere delle ragioni non vuol dire aver ragione”. Ma papà era convinto di aver agito nel giusto e di non aver commesso alcuno sbaglio. Perché scusarsi? E di cosa?

Trascorse ancora qualche giorno quando mia madre ed Enrica, la moglie del Genio, riuscirono a ottenere che i due di incontrassero. Fu un momento indimenticabile che io e i miei fratelli vivemmo con grande apprensione e tanta emozione. Seduti a un tavolo del ristorante, i due discutevano tra una sigaretta e l’altra, senza mai alzare la voce, ma ognuno fermo sulle proprie posizioni. Sembrava di assistere a uno sfibrante duello già visto in qualche film western. “La pistola sepolta” o “Mezzogiorno di fuoco”.

Era mattina, sul presto, e noi dovevamo andare a scuola ma non potevamo andarcene senza sapere come sarebbe andata a finire. Per fortuna, giunsero Lina ed Enrica e li costrinsero ad accettare le reciproche scuse. I due uomini finalmente si strinsero la mano, poi il Genio guardò la moglie e le chiese: “La giacca è stirata?”. Accompagnando le proprie parole da uno sguardo eloquente, Enrica gli rispose in bergamasco: “Tel set che l’è stirada, fa mia ol bambo che te ghet quater scecc”.

Si concluse così quell’assurda vicenda che ancora oggi considero il più bel litigio a cui abbia mai assistito. L’orgoglio ferito e la ragione a tutti i costi, ma alla fine prevalsero il buon senso e la stima reciproca.

Da quell’episodio sono trascorsi almeno cinquant’anni e oggi nostro padre e il Genio non ci sono più. Sono sepolti a pochi metri di distanza, chissà se nel frattempo mio padre avrà imparato il bergamasco e se il Genio avrà ancora la sua giacca ben stirata?

Robi