• Due calci al pallone

L’uomo che inventò il cucchiaio

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Da quel 26 ottobre 1863 in cui, in terra d’Albione, venne fondata la Football Association, sono più d’uno i momenti straordinari diventati patrimonio dell’immaginario collettivo. 

Una memoria comune che si estende anche a chi non afferra il significato di termini come fuorigioco o calcio d’angolo. 

Molti di questi momenti riguardano le imprese della squadra che amiamo – in una crudele alternanza di vittorie esaltanti e sconfitte strazianti preclusa ai deboli di cuore – e i gesti dei campioni che hanno scritto le pagine più intense della storia del calcio. 

Chi non ha visto almeno una volta la mano di Diego Armando Maradona – che in quel preciso momento apparteneva esclusivamente a Dios – spingere con astuzia la palla nella porta inglese? O quel rigore in un tremolante bianco e nero che fu il millesimo gol di Pelé? 

Ci sono stati, però, anche colpi di genio nati dall’istinto, o semplicemente dalla follia, eseguiti da atleti in calzoncini e maglietta noti solo agli appassionati più accesi. Come Antonin Panenka, che tirò il calcio di rigore decisivo nella finale dei Campionati Europei del 1976.

Uno dei ricordi più belli della mia infanzia.

All’atto conclusivo della manifestazione era arrivata, manco a dirlo, la Germania Ovest campione del mondo in carica, dopo aver sconfitto in semifinale i padroni di casa della Jugoslavia, a quel tempo un insieme di popoli e una sola nazione. 

La semifinale l’avevo vista davanti al piccolo televisore sistemato vicino alla cassa del ristorante, in compagnia di alcuni ragazzi jugoslavi che, per mantenersi, giravano i locali di Città Alta vendendo i propri dipinti. Quadri naif scaturiti dal poco genio di quei pittori della domenica che, come cantava Paolo Conte, “generalmente han sguardi buoni, sovente ingenui e un po’ da bambinoni”. Anche se in questo caso il più vecchio aveva solo qualche anno più me.

Tifavo per la Jugoslavia, anche perché ho sempre avuto una predilezione per i calciatori slavi, così fantasiosi ed estroversi. Nei Balcani abbondavano genio e sregolatezza. Gente come Buljan, Petrovic e Surjak: erano davvero i brasiliani d’Europa. 

Dopo essere stati in vantaggio per 2 a 0, vennero rimontati e superati dai tedeschi che vinsero 4 a 2, con tre gol di Müller. Non più l’immenso Gerd, che aveva dato l’addio alla propria nazionale, ma Dieter. 

Ancora una volta ho visto perdere l’Olanda.

Con mio personale disappunto, nell’altra semifinale, un’arcigna Cecoslovacchia – non ancora divisa in due – batté l’Olanda. Una squadra meravigliosa, quella in divisa arancione, bella e impossibile, di cui mi ero fatalmente innamorato due anni prima, al Mondiale del 74.

In tenuta rossa, calzoncini bianchi e calzettoni blu – a riproporre la bandiera del proprio Paese – giocavano ottimi calciatori come Nehoda e Ondrus, nonché un baffuto e aitante centrocampista d’attacco: Antonin Panenka. 

In patria, lui vestiva la maglia gloriosa nel Bohemians CKD di Praga, un sodalizio sportivo nato nel lontano 1905 con un unico titolo nazionale a splendere triste e solitario in bacheca. Una squadra dallo spirito irriverente e rivoluzionario, che ancora oggi ha un canguro come simbolo, nel ricordo di un tour australiano negli anni Venti retribuito con due simpatici marsupiali taglia gigante, poi regalati allo zoo di Praga.

Arrivato il giorno della finale, non ebbi alcun dubbio nel prendere le parti della Cecoslovacchia. Mi accomodai lì, davanti al televisore, seduto con i miei amici jugoslavi, tornati al ristorante Mimmo per assistere alla partita e fare il tifo contro i tedeschi. Eravamo allineati.

La mattina stessa, la Fifa aveva preso una decisione storica. Al temine dei tempi supplementari, in caso di parità, la partita non si sarebbe rigiocata ma decisa ai calci di rigore. Era la prima volta in assoluto e l’epilogo fu proprio quello. 

Chi tira così o è un genio o è un pazzo

A calciare l’ultimo rigore, quello che poteva condurre alla gloria, si presentò Panenka, un uomo che incarnava alla perfezione il mito del bohémien. Termine tanto caro ai francesi di fine Ottocento partorito dalla credenza che i boemi fossero nomadi, come i gitani, e quindi spiriti liberi, anticonformisti e per nulla assoggettati alle convenzioni sociali. Proprio come lui. 

Nel proprio campionato, l’estroverso giocatore del Bohemians aveva fallito gli ultimi due rigori che aveva calciato. Per questo, in quell’occasione, pensò di sorprendere il portiere avversario. Nessuno, però, avrebbe mai immaginato un gesto tecnico tanto geniale quanto insensato. 

Antonin prese il pallone e lo posizionò sul dischetto del rigore. Si allontanò dallo splendido Telstar dell’Adidas – che due anni dopo evolverà nell’altrettanto iconico Tango – prendendo una rincorsa talmente lunga che la sua figura sparì dall’inquadratura del televisore. 

Al fischio dell’arbitro, iniziò a correre verso il pallone come se volesse calciarlo con tutta la rabbia del mondo, ma arrivato dinanzi a quella sfera di cuoio a pentagoni neri, Panenka guardò l’estremo difensore tedesco e rallentò improvvisamente. Accarezzò la palla da sotto, imponendole una parabola centrale, dolce e arcuata, che prese in controtempo Sepp Maier, il portiere più forte del mondo.

Fu un’autentica magia che mi lasciò stupefatto, anche perché quello era l’ultimo rigore. Maier, che pure aveva grande dimestichezza con gli sberleffi del destino – da quella volta in cui Gianni Rivera, in quell’Italia Germania 4 a 3 entrata nella leggenda, lo aveva ingannato spiazzandolo inesorabilmente – rimase impietrito, steso a terra, osservando quella palla sorvolarlo con oziosa lentezza. 

Fu un tiro dagli undici metri mai visto prima che fece vincere i Campionati Europei alla Cecoslovacchia. L’unico titolo internazionale, a tutt’oggi, dopo le dolorose sconfitte in finale nei mondiali del 1934 e del 1962.

 

Per noi è il cucchiaio, nel mondo è il “Panenka”.

Quella palombella, come l’avrebbe chiamata Nanni Moretti, era strettamente imparentata con la poesia. Trasudava coraggio e libertà. Pelé, presente in tribuna d’onore allo stadio Marakana di Belgrado, commentò: “Chi tira così o è un genio o è un pazzo”. 

Da quel giorno, altri giocatori vollero replicare quel prodigio figlio dell’incoscienza e dell’illuminazione divina. Da noi, qualcuno iniziò a chiamarlo “cucchiaio” o “scavetto”. Per i brasiliani è la “cavadinha”, mentre per gli argentini è il “penal picado”. In tutto il resto del mondo, invece, è il rigore alla Panenka o semplicemente il “Panenka”. Un’arte sopraffina ma altrettanto rischiosa. Perché se sbagli sarai messo alla berlina per l’eternità.

Questo corpulento signore che negli anni non ha mai rinunciato ai suoi folti baffi, oggi si avvicina all’ottantina e di mestiere fa il presidente di una squadra di calcio. Dei Bohemians CKD, ovviamente. Se lo incontri in birreria, ancora oggi ti dirà: “ho un solo un rammarico, quel rigore avrei dovuto brevettarlo”.