• Due calci al pallone

Certo, è Tony Cucchiara!

In quella calda e indolente serata di fine giugno, da Mimmo si presentò un uomo alto, distinto, dallo sguardo tenebroso. Si accompagnava a una donna splendida, seducente ed elegantissima, ma noi avevamo occhi solo per lui.

Massimo, Mauro ed io l’avevamo riconosciuto al primo sguardo: era Cesar Luis Menotti, l’allenatore dell’Argentina campione del mondo!

Il Gildo, ossequioso come non mai, li accompagnò al tavolo mentre noi tre corremmo subito da nostro padre in preda a un’eccitazione incontenibile: “Papà, hai visto chi è entrato?”, “L’hai riconosciuto anche tu?”.

Senza perdere il suo inconfondibile aplomb, papà emise la sentenza: “Certo, è Tony Cucchiara”.

Dopo un attimo di smarrimento montò la protesta, a cui si aggiunsero timidamente il Gildo e qualche altro cameriere. “Ma no, papà, guardalo bene!”. “Dai, è Menotti, l’allenatore dell’Argentina!”. “E poi chi è Tony Cucchiara?”.

Il dubbio che ci stesse prendendo in giro lo abbiamo ancora oggi ma non ci fu verso di fargli cambiare idea. Amante della musica e poco incline agli splendori e alle miserie del calcio, per lui quello era Tony Cucchiara, un cantante in voga negli anni Sessanta che nei decenni a seguire scrisse diversi musical di successo.

Che poi, riguardando oggi le foto dell’epoca, i due si assomigliavano davvero. Il viso affilato, i capelli lunghi e un’ombra di durezza negli occhi, quella di chi nella vita si è fatto valere guardandosi perennemente le spalle.

Soprannominato “El Flaco” per la sua magrezza, Luis Cesar Menotti era un uomo colto e raffinato. Seduto al pianoforte preferiva la brillante rigorosità delle sonate di Scarlatti ai tanghi di Piazzolla o alle languide milonghe di Gardel. Era convinto che al calcio totale degli olandesi si dovesse contrapporre la tecnica individuale argentina e aveva una propria visione del “fútbol” che, come ebbe modo di affermare, si esprimeva nella costante ricerca “dell’efficacia della bellezza”.

Fu proprio durante quel suo soggiorno in Italia, dove trascorse qualche settimana per assistere agli Europei del 1980 – vinti tanto per cambiare dalla Germania, che dichiarò: «La Fiorentina dovrebbe giocare secondo i tratti di Michelangelo o il genio di Leonardo, perché quello è il suo patrimonio e quello deve essere il suo stile».

Menotti era un chimico mancato. Si innamorò di formule e ossidoriduzioni grazie a un professore il cui primo insegnamento era: “sappiate che la vita è come la chimica: va interpretata”. Poi scelse un’altra strada ma non rinunciò mai all’alchimia, che della chimica è parente stretta, applicata ai teoremi e alle geometrie che regolano il gioco del calcio.

Ma tornando a quella magica e per noi indimenticabile serata, noi tre la passammo a sbirciare a turno la coppia seduta al tavolo più appartato della sala. Cercavamo di carpire qualche frase o semplici parole attraverso quella coltre di densa intimità, rafforzata dalla penombra, che proteggeva Cesar Luis e la sua bellissima compagna.

Menotti diceva spesso che il calcio è tre cose: tempo, spazio e inganno. Quella sera, evidentemente, si trasformò in Tony Cucchiara per ingannare papà…